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Archivio di Stato di Pordenone

Dantedì

«Ces fas-tu?». Storia di una stroncatura dantesca e della sua fortuna nella cultura friulana

Il 25 marzo è il Dantedì, la giornata dedicata a Dante Alighieri istituita dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Secondo gli studiosi, infatti, è proprio il 25 marzo che il Sommo Poeta iniziò il viaggio ultraterreno descritto nella Divina Commedia

In questa sezione, presentiamo un percorso di ricerca che attraversa un pezzo di storia della cultura italiana e friulana.
A partire dal giudizio che Dante riservò alla lingua friuliana nel De vulgari eloquentia, vi proponiamo una serie di riflessioni che ci condurranno a presentarvi la storia di una longeva rivista della Società Filologica Friulana, «Ce fastu?», e di altri progetti di questa importante istituzione friulana. 

Ecco che, attraverso questi esempi, l'eredità di Dante e della sua opera ci apparirà ancora oggi come un terreno fertile, che continua ad alimentare la produzione e la diffusione della cultura in Italia e nel mondo.

«Ces fas-tu?»: Dante e il suo giudizio sulla lingua friulana

Il De vulgari eloquentia  Scritto in latino tra il 1303 e il 1305, con ogni probabilità parallelamente ai primi versi dell'Inferno, il De vulgari eloquentia è ritenuto la prima opera di dialettologia composta in Europa. Il suo oggetto è la lingua volgare: la «nostra prima vera locutio» (DVE, I, ii) che «sine omni regula» impariamo imitando la nostra nutrice (DVE, I, ii). Questo, ovviamente, a differenza della gramatica, lingua di cui pochi – e solo dopo un lungo periodo di studio – possono dirsi familiari: il latino.

Ma qual era lo scopo di Dante? Il Sommo Poeta voleva dimostrare al mondo intellettuale del tempo la legittimità e addirittura la superiorità del volgare rispetto alla gramatica. Delle due, sostiene l'autore, «nobilior est vulgaris» poiché «prima fuit humano generi usitata» (DVE I, i). Il latino, come il greco antico, per Dante e i suoi contemporanei era infatti un linguaggio artificiale nato dalla necessità di uomini di diverse regioni del mondo di comunicare tra loro. Andava da sé, quindi, che se la gramatica era di natura umana, il volgare era di natura divina.

I dialetti italiani Di volgare – e non di volgari – parla Dante, considerando che solo dopo la confusio linguarum scatenata da Dio in seguito all'oltraggio della torre di Babele la lingua primigenia si disperse in tanti idiomi quanti i ruoli che si svolgevano in quel cantiere. Tanto più importante era il ruolo, tanto più rozza divenne la lingua e una di queste giunse nel «bel paese là dove 'l sì suona» (Inf. XXXIII, vv. 79-80) prendendo il nome di volgare italiano. Ecco però che l'Italia al suo interno contiene moltissime varietà di questo suo volgare. Di quattordici che Dante identifica, l'autore stesso ammette che se volessimo calcolare «primas et secudarias et subsecundarias vulgaris Ytaliae variationes» non solo un migliaio «sed etiam ad magis ultra» ne dovremmo considerare (DVE I, x).

Il rozzissimo friulano Alla ricerca della varietà di volgare che si potesse considerare il cardine a cui gli autori italiani dovessero riferirsi, Dante vaglia ognuna di queste varietà, dando di ciascuna un giudizio tutt'altro che encomiastico: hanno tutte un elemento barbaro che le rende inadatte ad un uso illustre. In questa rete cade ovviamente anche il friulano, del quale il poeta commenta parlando di aquileiesi e istriani: «Ces fas-tu? crudeliter accentuando eructuant» (DVE I, xi).1

«Pare che a soffrirne di più siano stati i triestini», affermava scherzosamente Piera Rizzolati, professoressa di Lingua e Letteratura Friulana all'Università di Udine, parlando della stroncatura dantesca del friulano. In un'intervista di Dario Stasi sul numero 18 (estate 1995) di «Isonzo - Soča» intitolato Le lingue dei goriziani, la docente commentava che «per sfuggire alla condanna dantesca [i triestini] reagirono con l'anticipazione del pronome in “Cossa ti fa?”, cioè ipercaratterizzandosi nel proprio veneto, sfuggendo anche al veneziano “Cossa fastu?”».

E cosa avrebbe detto Dante del dialetto pordenonese? Non lo sappiamo ma probabilmente lo avrebbe giudicato al pari del vicino trevigiano: «quod quidem barbarissimum reprobamus» (DVE I, xiv)!

1A causa della sua antipatia nei confronti delle sibilanti, come sarà chiaro a chi ha familiarità con la lingua friulana, il Sommo Poeta finì con l'eccedere riportando una consonante di troppo nel pronome ce.

La fortuna di un giudizio. La storia di «Ce fastu?», longeva rivista della Società Filologica Friulana

La rivista ufficiale della Società Filologica Friulana vede gli albori nel 1920 con il titolo di «Bollettino della Società Filologica Friulana G. I Ascoli»: redattore responsabile è Bindo Chiurlo (1886-1943), critico letterario, poeta e docente in prestigiose università italiane ed europee. Nel 1921 il Chiurlo è anche direttore della «Rivista della Società filologica friulana G.I. Ascoli», che cessa la pubblicazione già nel 1926 e confluisce in «Ce fastu: bollettino della Società filologica friulana» (1925-1933), il cui direttore responsabile è Pietro Someda de Marco (1891-1970). Notaio, storico e scrittore, Someda De Marco dedica proprio al Chiurlo la sua raccolta di poesie Il cocolâr [Il noce].

Dal 1934 al 1938 all’intitolazione «Ce fastu?» è nuovamente preferita quella di «Bollettino», mentre dal 1939 la rivista assume l’intitolazione con cui la conosciamo. Il capo redattore del primo numero del rinnovato periodico è Giovanni Battista Corgnali (1887-1956), il dotôr [dottore], bibliotecario alla “Joppi” di Udine per più di trent’anni e direttore della sezione dell’Archivio di Stato di Udine, istituita nel 1941. Rimane responsabile del periodico per diversi anni e qui pubblica alcuni importanti lavori di ecdotica di antichi testi friulani, quali le rivisitazioni di Piruç myo doç e di Biello dumlo di valor (Frau G. in Dizionario Storico dei Friulani).

Il periodico, giunto alla novantaquattresima annata, annovera tra i direttori personalità di spicco del panorama culturale friulano: Gaetano Perusini, Gianfranco D’Aronco, Gian Paolo Gri, Gian Carlo Menis. Dal 2007 la direzione è affidata a Giovanni Frau. «Ce fastu?» è inserito nella lista europea ERIH PLUS (European Reference Index for the Humanities and Social Sciences) e in The Nordic List (Norwegian Register for Scientific Journals, Series and Publishers). 

La rivista, attualmente disponibile in formato analogico e digitale (per i soci della Società Filologica Friulana), raccoglie lavori e contributi dei migliori specialisti di linguistica, filologia, tradizioni popolari, storia e arte che investigano l'entità etnica e culturale del Friuli.

Le edizioni dal 1920 ad oggi sono state digitalizzate: è possibile consultare qui il catalogo. Si possono leggere e scaricare liberamente tutti gli articoli, pubblicati in formato .pdf, mentre quelli relativi agli ultimi tre anni ne sono esclusi.

Curiosità Il primo numero della nuova serie di «Ce fastu?», che pubblichiamo sopra, conserva la copertina elaborata dalla disegnatrice Lea D'Orlandi (1890-1965). Artista eclettica, autrice di teatro in friulano, pittrice, è stata donna di grande cultura. Etnografa, con Gaetano Perusini avvia lo studio sistematico dei costumi popolari nelle varie aree del Friuli.

La copertina del 1939 riporta il simbolo archetipo del Friuli: il focolare (fogolâr), cuore della casa friulana, simbolo dell’unità della famiglia e del calore di uomini e donne che si radunavano attorno al fuoco dei lari, di antica memoria.

Alla D’Orlandi si devono altre copertine: citiamo in questa sede una tra tutte, quella in cui la pittrice abbozzava con tratto tutto femminile l’aquila con le ali spiegate, la testa a sinistra, il rostro aperto e gli artigli,  antico vessillo patriarcale cucito sul camice di lino bianco che avvolgeva il corpo del patriarca Bertrando di Saint Geniès.

Lo studio della lingua friulana. Il Dizionario storico friulano

Il continuo impegno e l’assidua ricerca in campo storico linguistico della Società Filologica Friulana hanno permesso di pubblicare online uno strumento di agile e immediata consultazione: il Dizionario storico friulanoun repertorio lessicale e onomastico del friulano di epoca tardomedievale, che raccoglie le attestazioni del friulano dalle origini alla fine del XV secolo.

Il progetto Presupposto fondamentale di questo lavoro di spoglio e lemmatizzazione delle fonti documentarie è stata la realizzazione del pluriennale progetto di ricerca “Documenti antichi dagli archivi friulani” avviato nel 2003 e patrocinato dall’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il progetto, conclusosi nel 2007, ha permesso di schedare gli archivi e i fondi presenti su tutto il territorio regionale e nel contempo di raccogliere le fonti antiche in volgare dalle origini alla fine del XV secolo. Le 2855 schede “documento” riportano oltre alle canoniche indicazioni archivistiche anche la presenza del volgare, distinto tra tosco-veneto e friulano. Contemporaneamente alla schedatura sono state avviate anche le trascrizioni di nuclei documentari inediti: si cita ad esempio in questa sede i registri della Pieve di Santa Maria di Gemona, a cura di Federico Vicario (Quaderni Gemonesi del Trecento, Forum Editrice, 2009).
Un puntuale ed articolato resoconto del progetto è stato pubblicato nella Rassegna degli Archivi di Stato (Nuova serie, anno III, n. 1, gen.-apr. 2007, pp. 7-120), che contiene gli atti di un convegno tenutosi a Udine nel 2006.
Quello che ne emerge è che questo percorso di ricerca ha permesso di rilevare come tra i documenti tardomedievali di uso pratico (dalla seconda metà del Trecento alla prima metà del Quattrocento) il volgare friulano sia usato in modo massivo.

Come si usa il Dizionario? Con le funzioni della ricerca libera e della ricerca avanzata, l'utente può ottenere informazioni sui singoli lemmi inseriti nel repertorio, sui documenti e sulla bibliografia specialistica consultata.
Il lemma, indicato nella grafia ufficiale, riporta la categoria grammaticale, i legami con altri termini e le citazioni documentarie, complete di sigla, datazione e riferimento alla carta.
Il termine pari (padre), ad esempio, sostantivo maschile, ha legami con i lemmi pare, padreu, Pari, padre. Le citazioni del termine partono dalla metà del 1300: lo troviamo, tra gli altri, a Udine, presso la Biblioteca Civica “V. Joppi”, nel ms. 1348bis prodotto dalla Confraternita dei Calzolai, o all’Archivio storico del Comune di Gemona nel quaderno prodotto dal cameraro Indrigo Baldassi della Pieve di Santa Maria di Gemona.

Mancava nel panorama dello studio della lingua friulana uno strumento così duttile, dopo il triste insuccesso del progetto del Dizionario etimologico storico friulano (DESF). L’implementazione del Dizionario e la sua pubblicazione è promossa dal Dipartimento di Lingue (DILL) dell’Università degli Studi di Udine.

 

 

Il contributo «Ces fas-tu?»: Dante e il suo giudizio sulla lingua friulana è di Francesco Pasquale, a cui va la nostra riconoscenza.
Un grazie a Tommaso per l'originale illustrazione di Dante che declama il famoso passo del
De vulgari eloquentia.



Ultimo aggiornamento: 29/11/2023