Il 20 gennaio 1946 l'avv. Sandro Rosso di Pordenone, in qualità di procuratore della principessa Matilde Morpurgo de Nilma vedova Colonna e del Seminario Vescovile di Concordia-Pordenone, chiede l'iscrizione nel ruolo generale degli affari contenziosi civili della causa «avente ad oggetto pagamento di somme» promossa dai suoi clienti contro il rag. Oscar Casa di Trieste.
Dopo l'8 settembre 1943, con l'istituzione dell'Operationzone Adriatisches Küstenland, il rag. Casa era infatti stato incaricato dai tedeschi di assumere l'amministrazione fiduciaria di aziende e immobili di proprietà di cittadini ebrei triestini, tra cui le aziende agricole Morpurgo di S. Andrea di Pasiano e di Villa Varda a Brugnera.
Alla morte del proprietario, barone Mario Morpurgo de Nilma, avvenuta il 18 dicembre del 1943, tali beni erano in parte stati destinati per volontà testamentaria al Seminario Vescovile di Concordia-Pordenone, nella persona di S.E. il Vescovo, e la sorella del defunto, Matilde Colonna, ne era rimasta parziale usufruttuaria.
Dopo l'arrivo del Casa, le aziende agricole Morpurgo-Colonna erano in un primo momento state gestite - sotto la supervisione del fiduciario tedesco - dal loro storico amministratore, il sig. Giovanni Prataviera ma questi, «vessato dalla canaglia nazifascista», aveva finito per abbandonarle, dovendosi nascondere insieme ai figli.
Sopraggiunta la Liberazione il Prataviera era tornato al suo lavoro e il rag. Casa aveva improvvisamente cessato di esercitare l'incarico che gli era stato conferito dalle autorità tedesche.
Solo pochi mesi dopo, l'avv. Rosso, per conto della principessa Colonna e di S.E. il Vescovo di Concordia-Pordenone, chiama in causa proprio il ragionier Casa insinuando dubbi sulla qualità della gestione delle aziende agricole Morpurgo e sull'onestà del delegato.
Quella che inizia come una causa civile per la rifusione di somme e la sottrazione di un'automobile (una «"Lancia" tipo Artena carrozzata fuori serie e tappezzata in cuoio» di proprietà della principessa Colonna), si trasforma però ben presto, nel dialogo serrato tra i procuratori degli attori e del convenuto (che si rende noto attraverso la pubblicazione integrale dei documenti che seguono), in una profonda riflessione sul tema della colpa di chi, anche in Italia, fece di più che limitarsi ad obbedire.